M. è nata a Bucarest, città dove è cresciuta e dove ha conosciuto e sposato il padre di suo figlio. Sembra smarrita mentre parla a bassa voce, non alza mai il tono, pesa le parole pur mantenendo la spontaneità nel raccontarsi. Sembra fragile, in realtà è una donna forte e coraggiosa. Arriva a Padova nel 2004 con il figlio, ora maggiorenne, e un marito possessivo e violento (oggi ex marito) con cui vive un rapporto malato, al limite. Per anni subisce maltrattamenti, violenze fisiche, psicologiche e sessuali tra le mura domestiche. «Da tempo ormai – a causa di tutte le violenze fisiche e psicologiche che da anni subivo, spesso davanti a mio figlio – ero caduta in una forte depressione. Sapevo di non potercela fare da sola, ma non conoscevo nessuno. Mio marito mi aveva costretta a vivere in una prigione, non potevo uscire né stringere amicizie. Dovevo restare a casa ad aspettarlo. Un giorno, guardando una trasmissione in televisione che trattava il tema della depressione e degli attacchi di panico, mi dissi: “Ma questa sono io. Non posso restare in questa situazione, devo assolutamente chiedere aiuto”. Fu il primo passo, un piccolo ma significativo passo. Mi recai all’Ulss vicino a casa e chiesi di incontrare uno psicologo che confermò la depressione e mi prescrisse delle pillole. Iniziai a curarmi, nonostante mio marito fosse contrario. Le cose non miglioravano, continuavamo a litigare e io a subire le sue prepotenze. Così un giorno decisi di prendere più pillole del solito, non certo per farla finita ma con la speranza di stare male abbastanza per poter arrivare al pronto soccorso, parlare con qualcuno, chiedere aiuto e protezione e non tornare a casa mai più. Iniziai a sentirmi male un poco alla volta, la situazione si faceva sempre più critica e mio marito fu costretto a chiamare l’ambulanza. Giunta all’ospedale, la sera stessa incontrai una psichiatra e scoppiai in lacrime raccontandole tutto: “Andate a prendere mio figlio – dissi – vi prego”».
Successivamente, entra in contatto con gli operatori di Casa Viola: «Non ci arrivo subito, passo per altre strutture: prima per l’ospedale e poi in una casa d’accoglienza gestita da alcune suore. Infine, sono arrivata in Casa Viola e la mia vita è radicalmente cambiata. Lì ho conosciuto quella che oggi è la mia più cara amica: si chiama N. ed è mamma di due bambine stupende. Siamo come sorelle. Mi è stata sempre accanto, ricordo che una volta mi fece una sorpresa e mi portò al mare perché non voleva più vedermi piangere. Oggi abbiamo entrambe lasciato Casa Viola ma ci incontriamo spesso e ci aiutiamo ancora, sostenendoci a vicenda. Con l’aiuto di Gruppo Polis ho trovato anche lavoro. Per un po’ ho prestato servizio alla mensa della Bussola, il centro diurno per senza dimora gestito da Gruppo R. Ora lavoro in una fabbrica. È un lavoro che mi piace, anche se faticoso per via dei turni».
“Non potrò mai dimenticare: il dolore probabilmente mi resterà incollato addosso per sempre, ma quel che conta è che ne sono uscita e ora sono qui a parlarne. Ho un buon lavoro e un nuovo appartamento, punti fermi che mi permettono di vivere in pace, senza troppe preoccupazioni. E tutto questo grazie alle persone che mi hanno aiutata a reagire, liberarmi e ricominciare. E’ questo che vorrei dire a una donna che sta vivendo oggi la situazione che ho vissuto io: di non aver paura, di reagire e denunciare. Bisogna avere coraggio perché non siamo sole, ci sono molte persone disposte ad aiutare. Oggi posso dire di avercela fatta e sono fiera di me: ho chiesto aiuto e sono riuscita a rialzarmi».