Secondo il report ufficiale della regione Veneto, i centri antiviolenza sono 21, uno ogni 120.000 donne circa. Uno di questi CAV, quello di Chioggia, dal 2016 è gestito dalla cooperativa Gruppo R di Gruppo Polis. Alice Zorzan è la responsabile dei servizi del Gruppo riguardanti la violenza di genere. A lei abbiamo chiesto di raccontarci meglio la realtà dei Centri Antiviolenza e, più nello specifico, come stia procedendo l’esperienza di Chioggia.
Come si arriva ad aprire un centro antiviolenza?
Generalmente un centro antiviolenza si apre su iniziativa di un ente locale, ma ci possono essere centri privati. Infatti, un centro antiviolenza può essere gestito direttamente dal Comune oppure lo stesso Comune può attivare una collaborazione con un ente privato, come le cooperative con le competenze e i requisiti necessari. Generalmente il servizio viene affidato tramite gara d’appalto su finanziamenti comunali, regionali o nazionali. Questo è quello che è stato fatto nel nostro caso con il CAV di Chioggia denominato Civico Donna: il comune di Chioggia ha indetto un bando che poi è stato vinto da Gruppo R.
Quali sono i servizi che offrono i centri antiviolenza?
In generale, il centro antiviolenza rappresenta la prima porta di accesso verso l’allontanamento dalla violenza che una donna sta vivendo. I servizi sono vari e sono tutti molto importanti perché ogni caso è diverso ed è importante capire le varie situazioni e poter costruire dei percorsi ad hoc per ogni donna che si mette in contatto con noi. Al centro antiviolenza i servizi vanno dall’accoglienza, all’ascolto, dalla consulenza telefonica all’assistenza psicologica e legale. Quando è possibile, ci sono altre attività rivolte alle donne, come per esempio dei gruppi educativi di supporto o altre attività.
Si stima che, in generale, in Veneto una donna ogni 3 che contattano telefonicamente i CAV, viene poi presa in carico. Puoi descriverci la situazione di Chioggia?
Allora, abbiamo visto che rispetto al report veneto, Civico Donna ha una stima un po’ più alta. Nel 2016, da marzo al 31 dicembre, abbiamo contato 31 accessi e ben 26 di questi si sono rivelati dei veri e propri progetti, quindi decisamente più di uno su tre e l’andamento che sta prendendo il 2017 si conferma uguale: ci sono stati finora solo 2 casi di donne che si sono fermate solo al primo colloquio e che non hanno portato avanti un percorso. Quindi sì, direi che la media a Chioggia è un po’ più alta di quella riportata dal report regionale.
Invece, per quanto riguarda i dati riportati nel report del Veneto, sembra che le donne che contattano i CAV siano per la maggior parte italiane fra i 41 e i 50 anni e con un’istruzione medio-alta. Cosa ci puoi dire delle caratteristiche socio-anagrafiche delle donne che chiedono aiuto a Chioggia?
Effettivamente una buona parte delle donne che si sono rivolte a noi rientrano nella fascia che va dai 41 ai 50 anni di età, ma in realtà di queste 26 donne che hanno iniziato un percorso con noi, ce ne sono state molte anche fra i 18 e i 30. La ragazza più giovane aveva 19 anni e la signora più anziana ne aveva quasi 80. La differenza più grande rispetto al report sui dati veneti è quella riguardante il livello di studio: su queste nostre 26 utenti del 2016, 16 sono risultate disoccupate e anche con un livello di studio più basso, la maggior parte di loro ha solo la terza media
Questa situazione può essere dovuta anche al tipo di economia della zona?
Sì, decisamente. Lì l’economia si basa molto sul lavoro di tipo stagionale oppure su attività legate alla pesca, in cui le donne sono poco coinvolte. Generalmente, chi ha un livello di scolarizzazione più alto tende a spostarsi dove ci sono altre opportunità di lavoro. È una zona in cui le donne tendono a “scegliere” di stare a casa, scelta che è un po’ indotta da tutto il contesto culturale in cui vivono.
E qual è il motivo principale per cui le donne si rivolgono a Civico Donna, il CAV di Chioggia?Abbiamo riscontrato una casistica molto varia. Dalla violenza fisica a quella psicologica e a quella economica e abbiamo avuto anche vari casi di stalking. Penso sia importante dire che la violenza fisica non arriva mai se prima non ci sono anche le altre componenti, soprattutto quella psicologica che spesso la donna non riconosce. Il clima creato dalla violenza si può paragonare ad una sorta di esistenza sul filo del rasoio. All’inizio quasi impercettibile, con il tempo si crea un clima di tensione, paura e minaccia costante. Tecnicamente, si chiama ruota della violenza e le donne che chiedono aiuto si trovano in situazioni diverse e in fasi diverse di questo ciclo. Gli episodi di violenza spesso si scatenano per delle banalità, per dei litigi ove l’uomo vuole garantirsi con la violenza il controllo della situazione. Le violenze avvengono in un contesto a spirale dove l’escalation della tensione, l’esplodere della violenza e il pentimento si susseguono e si ripetono nella stessa sequenza. Solo con il tempo la donna si accorge di non riuscire a controllare il comportamento violento del partner. Anche se per bloccare la violenza si sforza di evitare ogni situazione di conflitto, i suoi sforzi sono un’illusione: il ciclo della violenza è cominciato, gli episodi violenti sono sempre più frequenti e pericolosi. C’è anche da aggiungere che realtà oggettiva e altri fattori (come la situazione di pericolo, la dipendenza economica, il mancato supporto dall’esterno) rendono più difficile per la donna staccarsi dall’uomo violento.
Tendenzialmente le donne contattano i CAV di loro spontanea volontà o vengono spinte da figure istituzionali, parenti, amici o altri?
Direi che spesso e volentieri la spinta a contattare i centri antiviolenza arriva da fuori, sono meno frequenti i casi in cui le donne prendono questa iniziativa da sole. In generale, è molto importante la figura di un’amica, di una conoscente e, in qualche altro caso, delle istituzioni e nel caso di Chioggia le forze dell’ordine sono fondamentali. Alle donne che si rivolgono a loro, le autorità danno molte indicazioni e le invitano a telefonarci. Dovrebbe essere così anche al pronto soccorso che, infatti, dà tantissime informazioni su di noi ma, mentre le donne che si rivolgono alle forze dell’ordine sono forse psicologicamente più pronte per chiedere aiuto, al pronto soccorso vanno donne che hanno bisogno fisico di cura ma spesso non hanno ancora la consapevolezza o il coraggio di ammettere di essere vittime di violenza di genere. Altre figure sempre più importanti sono anche i social, Facebook, i gruppi di aiuto e i volantini disseminati ovunque. In generale comunque, diciamo che una donna che si rivolge a un centro antiviolenza, se è sostenuta nella scelta da familiari o amici, si fa forza e ha più coraggio di intraprendere questo passaggio.
Una volta contattato il centro antiviolenza, le donne fanno denuncia?
Questo non è scontato. La questione della denuncia è un tema molto importante e delicato, presente in tutti i CAV. È sconcertante rilevare quanto siano ancora troppo poche le donne che, a livello europeo, a seguito di un episodio di violenza, denunciano gli abusi alle autorità competenti. Non si denuncia per vergogna, imbarazzo e paura. Quello che cerchiamo di fare all’interno del centro antiviolenza è accompagnare le donne in un percorso di consapevolezza e conoscenza degli aspetti pratici delle conseguenze di una denuncia, oltre che a tutelarsi e a proteggersi. Molte donne che si trovano in queste situazioni non sanno come muoversi o da che parte cominciare: nei CAV trovano il supporto psicologico, legale e pratico per poter capire come intraprendere il loro percorso libere dalla violenza. La denuncia comunque non è l’unico strumento che una donna ha a disposizione. La nuova legge prevede altre forme di tutela come l’ammonimento del questore.
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Centro Antiviolenza Civico Donna:
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