Fides è volontaria alla Bussola dal 2011: prepara il caffè alla fine del pranzo, aiuta e accompagna gli ospiti nelle varie attività. In questa semplicità, nella quotidianità che non richiede competenze particolari, lei ritrova l’importanza dell’ascolto, del dare spazio agli altri, di esserci.
La incontriamo una sera d’autunno, insieme alla sua nipotina che durante la nostra chiacchierata dorme in macchina. Fides, accanto al finestrino, la controlla spesso.
Da quanto sei volontaria alla bussola e come ci sei arrivata
Da quanto? sto perdendo il conto degli anni… sarà stato il 2011, 2012. Sono arrivata attraverso un nostro socio lavoratore che ha visto che facevo dei lavori con il recupero della carta. Mi ha proposto di proporlo agli ospiti della bussola. “E che cos’è la Bussola?”, ho chiesto io. E così ho preso appuntamento con Anna e sono andata a vedere di cosa si trattava. Anna mi ha spiegato da dove arrivavano gli ospiti rassicurandomi sulla loro tranquillità, per togliere quell’idea, quella paura che abbiamo addosso anche senza volere, no?
Anche senza volerlo avevi un piccolo pregiudizio?
Sì, forse sì. Un senso di pericolo, forse perché per me era un mondo sconosciuto.
I diversi o quelli più in difficoltà ci fanno più paura. Forse anche io ero in quella situazione.
Così sono entrata proponendo il lavoro della carta. Ecco… Non era un lavoro adatto per questi ospiti. Era un lavoro di cui non vedevi subito il risultato, richiedeva una certa manualità. I pezzi di carta di giornali e riviste venivano arrotolati con l’aiuto di un ferro. Dopodiché facevi le cannucce, le varie cannucce venivano infilate e con quelle andavi a creare un piatto, oppure rivestivi un barattolo per metterci le penne, creavi oggettini vari… Insomma serviva tanta, tanta pazienza, manualità, e direi anche tempo.
Siamo andati avanti qualche mese, c’erano due-tre persone che si sono avvicinate, hanno creato qualche oggetto … però non era la cosa giusta da proporre probabilmente. Forse serviva più continuità, forse in un contesto diverso avrebbe funzionato. Alla Bussola gli ospiti sono quasi tutti di una certa età, maschi, e forse anche per questo più restii a dedicarsi ad attività tradizionalmente considerate femminili…
Era bella l’idea, secondo me, perché partendo dall’idea del riciclo, del riutilizzo dei materiali, di una cosa che si può buttare e che qualcuno pensa non abbia più una utilità, la si prende, le si dà nuova vita. Era come un messaggio di speranza, di rinascita rivolto agli ospiti.
Così poi sei passata al volontariato “tradizionale”, giusto?
Sì, così Anna mi ha proposto di fermarmi a fare il servizio di volontariato “normale”, cioè il servizio che è sì fare il caffè, ma anche stare con gli ospiti, parlare con loro, e ascoltare soprattutto. Ascoltare quello che loro vogliono dirti, senza giudizi e pregiudizi: questo è stato un grande insegnamento per me. In questa società siamo tutti preoccupati e attenti a dire cosa pensiamo noi, come la vediamo. Se non proponi o non commenti qualcosa e stai zitta un attimo sembra che non sei niente, le parole volano in una maniera molto, troppo facile. L’ascolto vero non funziona così.
Di mio, mi sono dovuta sforzare per avvicinarmi a loro e buttare il primo sasso, di mio io non sarei una chiacchierona, sono timida e temo spesso di essere invadente, così piuttosto di fare una domanda aspetto e resto indietro. Qualcuno poi, quando sono entrata e hanno iniziato a conoscermi, ha detto che non sorrido mai e sono sempre presa dalle cose. Questo mi ha fatto riflettere.
Dare spazio alle persone è stata una grande sfida. Quello che faccio è un servizio molto semplice, non è richiesto nulla di particolarmente difficile, è richiesto solo di esserci, esserci se c’è da aiutare a fare la lavatrice, esserci se devi fare il caffè, esserci se devi sparecchiare un tavolo insieme a loro, esserci se hanno voglia di parlare, esserci se c’è da cogliere una battuta, o semplicemente esserci per mangiare un piatto insieme.
Questa cosa è quello che mi sta arricchendo un sacco, mi ha aperto, mi ha dato una lettura nuova della vita. Quello che noi consideriamo un diverso, magari quello coi borsoni per strada, che pensi subito possa essere un senza dimora, quello che in tanti purtroppo cerchiamo solitamente di allontanare, di svicolare… quello per me adesso è davvero una persona. Il mio atteggiamento ora è completamente cambiato. Se le persone mi approcciano, mi fermo, scambio due parole, do indicazioni, sorrido, saluto, indico ad esempio dove possono recarsi per farsi aiutare. Questa è una grande ricchezza oggi come oggi secondo me. Tendenzialmente si tende a scappare, ad avere paura, perché è un momento storico in cui da noi tutti quelli che sono diversi, che sono soli, non hanno denaro e vivono una vita disagiata ci fanno paura nella loro diversità. Questo finché non incontri queste persone, e scopri che hanno un loro passato e un loro presente, e ci insegnano col loro presente che si può vivere ed essere contenti, sereni nonostante tutte le difficoltà di contorno.
Ricordi il tuo primo giorno alla Bussola?
Sì, è stato il giorno in cui ho proposto l’attività di recupero della carta. Gli ospiti avevano già pranzato, Anna mi ha presentata, ha spiegato il lavoro che avrei proposto. Io avevo portato con me la mia rivista e qualche lavoretto fatto precedentemente da me, per mostrare loro un risultato tangibile. Credo che solo un paio di persone si siano avvicinate, quasi tutti erano disinteressati, alcuni giocavano a carte.
E questo disinteresse ti ha delusa?
Direi di no. Quel giorno, nonostante la disattenzione generale, non mi sono sentita a disagio, certamente ero emozionata, per me era una grande novità che volevo intraprendere. La verità è che pur non sapendo come muovermi, non conoscendo gli ospiti, ero emozionata di un’emozione tranquilla, serena: sapevo che potevo essere anche solo io su quel tavolo a lavorare, sarebbe andato bene lo stesso, non dovevo preoccuparmi della partecipazione perché a volte basta anche solo una presenza nuova e diversa a far succedere le cose. Non c’erano aspettative nei miei confronti, era un momento libero che dedicavo a loro. Mi bastava, e mi basta tuttora, che anche solo una persona si avvicini e riattivi, ritrovi la voglia di sperimentare, di mettersi in gioco, di darsi da fare, e per me è già un successo.
Complessivamente, come reputi la tua esperienza alla Bussola?
E’ stata una bella cosa che mi è capitata nella vita. Continua ad esserlo.
Uno potrebbe dire che dopo 5, 6 anni diventi noioso, eppure non è mai la stessa cosa, le persone cambiano spesso, ma anche il rapporto con le stesse persone cambia, sempre. Alcune persone frequentano la Bussola da tanti anni, alcuni hanno bisogno del servizio per più tempo di altri: continuano dopo anni ad avere bisogno di una mano, perché psicologicamente ed economicamente sono ancora molto deboli.
E’ la vita: le vicende, le storie che ti capitano ti possono segnare più o meno profondamente. A volte, per poter vivere hai bisogno che qualcuno ti tenga per mano; e questo bisogna accettarlo, non è una sconfitta, né tua né dell’attività. Per questo dicevo che è cambiato moltissimo il mio rapporto con gli ospiti, soprattutto quelli storici: si è creato un rapporto di fiducia, di simpatia, di attenzione che ci lega, non solo mia nei loro confronti, ma soprattutto viceversa loro verso di me! Mi chiedono come sto, se ho tagliato i capelli, cosa ho fatto al dito se, come ora, porto un cerotto… Vuol dire che un rapporto si è creato, che c’è un attenzione, che ci teniamo per mano. E anche questo è quello che mi tiene lì dopo anni di volontariato, anche se non mi pongo neanche il problema di continuare o meno ad andare alla Bussola, perché è parte della mia vita. La Bussola è parte della mia vita. Finché potrò, ci andrò e farò la mia parte.
C’è qualcosa che per te è difficile nel tuo rapporto con gli ospiti?
Ogni tanto mi vengono dei desideri di aiuti più personali nei riguardi di alcuni ospiti. Sono cose che farei spontaneamente, ma è chiaro che per farli crescere e stare bene non devo, per non creare false aspettative in loro. Devo sforzarmi di ricordare che dar loro 5 euro non è un aiuto nei loro confronti, e non restituisce loro la dignità che gli spetta.
Ricordi qualcosa che ti è rimasto dentro, che ti ha segnata in questi anni alla Bussola?
Potrebbero essere tante cose, magari banali, ma piene di umanità.
Mi fa sorridere questo ricordo:
C’era questa ospite, frequentava la Bussola ma non veniva a mangiare, veniva solo per il servizio docce e lavanderia. Era una signora abbastanza curiosa, che entrava senza salutare, un po’ brusca. Quella volta è entrata, io ero al bancone a preparare il caffè. Ero distratta, concentrata a fare le mie cose… Lei è entrata è mi ha detto subito “Potresti almeno salutarmi e farmi un sorriso quando arrivo!”
Sul momento sono stata zitta con lei, mi veniva da risponderle indietro che anche lei era entrata senza salutare e che, perlomeno, saremmo state alla pari per questo. Poi ci ho riflettuto, e ho pensato che un sorriso per lei evidentemente faceva davvero la differenza. Me l’ha detto nel suo modo scorbutico, però me l’ha detto, e questo mi ha davvero fatta riflettere.
Ho imparato, col tempo, i nomi degli ospiti della Bussola. Adesso quando entro li saluto tutti, uno per uno, chiamandoli per nome. Un sorriso e un saluto possono davvero cambiare la giornata a una persona, a tutti, ma penso soprattutto che facciano la differenza a chi di sorrisi non ne riceve molti, né viene spesso chiamato per nome. Non è così difficile alzare lo sguardo, ridare importanza a un sorriso, a una battuta, al nome delle persone.